
VII PRELUDIO (DA "MAGNIFICAT")
Per semplicità di vita voglio ridere come un arcobaleno. Voglio stendere un letto di petali sul terreno duro della dimenticanza. Voglio bussare piano alla tua porta chiusa, piegare e ripiegare i miei baci fin sotto l’orlo dell’uscio, asciugare cantando una pozza di sangue e chiedere ti ricordi di me?
Perdonami se aspetto e non mi arrendo. Se non trovo lo slancio dopo la caduta.
Ogni giorno un poco. Ogni giorno. 10, 15, 20 al giorno. Ogni giorno affastello fogli e foglie secche negli sprofondi. Presto 300 al giorno. 1.000, 6.000. Milioni.
Grida smussate dagli speroni a crudo. Chiudo tutte le porte degli autunni e degli inverni. In promesse solenni. Vivo in questa tardiva solarità e chiedo le divine intercessioni se la mia gioia offende l’oscurità che dorme. Aspettami, vado per valli e montagne in cerca delle parole felici. Mi dici come si fa? Mi vedi?
Costruisco parole lucenti, le pulisco, le lustro, le sminuzzo tra polvere e pietrisco, le smusso fino a farle fosforescenti.
Scrivo lettere agli amici per spiegare che l’amore cura, e la paura si fa peso specifico di guarigione, e la memoria, come l’oceano pacifico, nasconde l’insidia nei fondali. Si rimedia alla fatica poco per volta, con una gioia minuscola per poterla nascondere, una briciola, una formicola, una spicola, una stella lontana che si spegne.
Si spegne. Dice: esco. Spegne ad una ad una le luci della casa, i residui di braci. Spente le acrobazie, le piccole bugie, le bulimie degli amori finti. Riduce il quotidiano a piccoli riti in un recinto, sopravvive a se stessa coprendo ritratti antichi, si nasconde, scantona, scansa, non impara la dignità della decadenza, il contegno severo della morte. Dice: esco. E infigge lo sguardo altrove, e poi ancora oltre e dietro di sé solo muti crolli.
Preludi di angeli a cavallo di luce, di scoppi di lampi, di chiarità in cerca di perdòno. Si pèrdono le tracce, i cenni, gli indizi che aguzzarono il cuore, i richiami. E poi l’abbandono.
Così dice: esco. E io dico: cancello la parola cuore. L’indicazione per giungere. Voglio salvarmi dalla necessità del cuore. Stancarmi fino a sfinirmi di riesumare il cuore. Risucchio il cuore nel suo budello di nascita. Non ci sarà più un cuore. Solo un buco radiante.
Rimosso il cuore dal suo ostello e al posto una lucerna, una caverna coi suoi fuochi fatui.


