
MAGNIFICAT
Incontra i personaggi del romanzo
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EMMA
Io sono una donna dai mille perché. Quando avevo quattro anni chiedevo continuamente a mio padre il perché di tutto e lui cercava ogni volta di darmi delle risposte, ma non sempre ci riusciva. Un giorno gli chiesi: perché sei così triste? Lui cominciò a piangere, poi mi portò vicino a una grande quercia e mi chiese di mettermi a scavare insieme a lui. Scavammo una buca piuttosto profonda poi, in quella buca, lasciammo cadere tanti perché: mi chinavo sulla buca e gridavo: perché gli uccelli volano e io no? Perché non posso avere gli occhi azzurri? Cose così. Poi mio padre mi fece chiudere la buca e mi disse che le querce sono alberi molto antichi e saggi e conoscono molte storie che noi non sappiamo e non capiamo e che, se in futuro avessi avuto bisogno di cercare delle risposte, potevo andare ad abbracciare quella quercia e vedere se il mio cuore capiva la risposta. Qualche volta lo faccio. Quella è la mia quercia preferita. A volte capisco la risposta, a volte no.
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SARA
A dire il vero, io sono sola da pochi giorni soltanto, da quando la mia storia è finita. Mi sono detta: ho bisogno di stare con me stessa; e così mi sono infilata nella mia grotta interiore, un luogo dove lo stillicidio dei pensieri può diventare assordante. Oggi invece mi manca l’aria, sento che mi rattrappisco e mi assottiglio, come gli indumenti nei sacchi sottovuoto. Strano dire una cosa così intima a una sconosciuta, vero? Nessuno ancora lo sa e, sinceramente, non so proprio a chi dirlo, come fare a rompere l’involucro del sacco sottovuoto per ridarmi aria e consistenza; i versi che hai postato hanno aperto un piccolo foro e così mi sono ritrovata a immaginare la tua campagna coperta di neve, il camino acceso e Bach, e mi è venuta voglia di parlare con qualcuno. Uno sfogo virtuale, posso dire così? Ho esagerato, vero? Mi dispiace. Conosci Alessandra Cava? Questi versi: ‘se posso trapassare lo sgomento, se posso fare breccia/ di sgomento, in leggerezza…”
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DIDINA
Didina aveva e non aveva fame, aveva caldo e tremava, aveva timori e si rincuorava, si girò verso sua madre per chiedere cosa fosse quella sostanza gialla galleggiante e incontrò gli occhi di lei, Emma. Fu quasi un ritorno a casa. La bambina aveva cinque anni, lei tredici, ma in quel primo sguardo ci fu come la promessa degli anni che sarebbero venuti poi, di una forma di affetto, di lealtà solidale che le avrebbe aiutate a diventare grandi, un filo con cui intessere la resistenza agli urti. La bambina disse: è buono, sono passatelli in brodo vegetale. Mia madre li fa buoni, mangia. La vita di Didina cominciava da lì: gli occhi di Emma e i passatelli in brodo che avevano pian piano sciolto i crampi allo stomaco. Erano buoni sì, anche se di caldo ne aveva già patito abbastanza. Pescò il suo cucchiaio d’argento dalla sua sacca e mangiò. Emma, che le si era seduta accanto, guardò l’oggetto: che bello – disse. Didina rinsecchì un poco in se stessa: è mio – si difese. Emma sorrise, quel sorriso placido che partiva dagli occhi e Didina ebbe conferma che, pur non essendo casa sua, era arrivata a casa, che forse poteva cercare un rifugio, scavare una tana o, voglia il cielo, costruire un tetto per sé e per la speranza.
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LUCIANA
Aveva trascorso una notte insonne. Per ingannare le ansie addensate nel buio, s’era messa a riguardare documenti e libri di conti. Alle prime luci dell’alba sentì urgente il bisogno di uscire. Uscire, camminare, camminare e camminare. Perdersi, se possibile. Smarrire o ritrovare parti di sé. E quindi uscì e camminò. Attraversò i vigneti e gli uliveti, ampi spazi di terreni brulli destinati al pascolo, i campi coltivati a grano e frumento. Il sole, sorgendo, copriva d’oro le foglie argentate degli ulivi. Argento e oro. Anche la rugiada si dorava al sole. Piccole pozze di neve residua si scioglievano brillando. Il mondo s’era fatto lucente come un cristallo. Lei camminava quasi senza vedere niente, scansando certi pensieri così come scansava sassi e pozzanghere.
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LORENZO
“Allora, ascolta bene perché è difficile e io questa cosa la so perché l’ho sentita dire, ma non la so perché non la capisco. – Lorenzo si soffiò discretamente il naso: aveva la sensazione di sudare ma non osava interrompere la concentrazione di lei col gesto di toccarsi la fronte o di aprire la cerniera della felpa. – C’è una donna, ti ho detto. Nel senso che Emma ha conosciuto una donna sul computer – Lorenzo fece una smorfia: lui il computer cominciava appena a conoscerlo, suo figlio gli stava insegnando i primi rudimenti: accendere, spegnere e aprire un coso di ricerca che poi, aperto, non sapeva che ci doveva fare, cosa doveva cercare. Qualunque cosa, gli aveva detto il figlio, che aveva cominciato a pestare sui tasti e a far schizzare sullo schermo una freccetta, così veloce che i suoi occhi non riuscivano a starci dietro. La freccetta schizzava e il figlio spiegava: vai qui, fai così. E più spiegava, più lui si affannava a seguire la freccetta e meno ci capiva. Comunque non lo disse a Dida, pensando che, se si trattava di un problema col computer, avrebbe chiesto aiuto a Mario. Rimase zitto e attento per cercare di capire e memorizzare bene ogni dettaglio, in modo da poterlo poi riferire.
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LUCA
Io avevo concluso da due anni una specie di fidanzamento combinato col figlio di certi vecchi amici di famiglia. Lui si chiama Luca e abbiamo ancora un buon rapporto. Eravamo innamorati? Chissà. Al mare, in montagna, a Natale e in tutte le occasioni si stava sempre insieme, lui era timido, io pure, si parlava, si parlava.... le nostre madri, in modo neanche tanto velato, ci incoraggiavano e così, un bel giorno, ci siamo ritrovati a letto insieme, più che un approccio amoroso sembrava un esperimento, un voler verificare se, davvero, poteva funzionare. È stata una storia dolce, tranquilla. Fare l’amore con lui era come passeggiare in riva al mare, mano nella mano. Io non riuscivo quasi mai a provare un vero piacere, era piuttosto una specie di languore diffuso, un desiderio ipotetico che si diffondeva nel corpo senza grandi spasimi e che non sapevo come afferrare. Non riuscivo a capire cosa mancasse al nostro rapporto e cercavo di convincermi che l’amore, il sesso, il piacere fossero quella cosa lì. Un domenica mattina io e Luca abbiamo litigato per un malinteso banale e nei giorni successivi non ci siamo sentiti. Il quarto giorno ho realizzato con stupore che non sentivo la sua mancanza come innamorato, semmai come amico. Allora l’ho chiamato, ne abbiamo parlato e ci siamo lasciati così, con la stessa tranquillità con cui facevamo l’amore, senza sussulti.
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ROBERTO
“Beh, ho avuto tanti momenti di stanchezza, di dubbi. All’età di ventisei anni, circa, mi sono guardato intorno, sono stato in India, in un centro buddista, a Cipro, in una comunità di Sufi, sono stato in Sudamerica e in Russia, in cerca degli ultimi veri sciamani. A un certo punto è stato come cadere in un precipizio: mi sembrava che ci fossero cose giuste e sbagliate ovunque, non riuscivo a capire quale potesse essere la pratica spirituale più giusta. Allora, per un bel po’ ho lasciato perdere tutto: mi dicevo: basta, è tutta robaccia, droghe mentali per tener buona la gente. Ho cambiato giro di amicizie e ho cominciato a viaggiare per puro divertimento. E così ho conosciuto mia moglie, mi sono sposato; insomma, per un po’, ho fatto la persona normale.” Roberto ridacchiò. “E poi?” Lui tornò serio:“Poi si è ammalata mia madre.”